Fatto
Il signor A.F. è separato della moglie. Questa, assieme al figlio diciassettenne, abita la casa coniugale a lei assegnata in sede di separazione. Il signor A.F. chiede se possa cedere a terzi la sua quota di comproprietà dell'immobile casa coniugale e se per fare ciò necessiti del consenso della moglie.
Diritto
La questione è regolata dalle ordinarie norme sulla comunione dei beni di cui agli artt. 1100 e segg. del codice civile, tuttavia con alcune particolarità legate allo status dei comunisti e alla circostanza della separazione in atto. In linea di principio, qualora i comproprietari non si trovino in accordo circa la divisione del bene comune, ciascuno di essi può chiederne la divisione all'autorità giudiziaria (articolo 1111 del Codice civile). La divisione, in caso di beni immobili, può avvenire con tre modalità: a) in natura, ove ciò sia possibile (ad esempio se l'immobile è composto da due unità abitative o comunque facilmente ricavabili e di pari valore); b) con attribuzione del bene al comproprietario avente la quota maggiore, e con liquidazione in denaro della quota dell'altro comproprietario; c) con vendita all'incanto del bene e conseguente divisione del ricavato tra gli aventi diritto (articolo 720 del Codice civile). Non è previsto un diritto di prelazione sulla quota del comproprietario in caso di comunione ordinaria (mentre è previsto dall'articolo 732 del Codice civile per la sola ipotesi di comunione ereditaria, nel caso in cui uno dei coeredi decida di mettere in vendita la propria quota di eredità). Nel caso di specie, tuttavia, l'immobile in comproprietà costituiva la casa coniugale dei due coniugi. Casa coniugale che successivamente, in sede di separazione, è stata oggetto di assegnazione alla moglie. Tale circostanza rileva poiché il provvedimento di assegnazione può essere trascritto ai fini dell'opponibilità ai terzi dell'assegnazione medesima (articolo 155, comma 6, Codice civile, e articolo 6, comma 6, legge sul divorzio 898/70). Ne deriva evidentemente che in caso di vendita, l'immobile risulterebbe gravato dal diritto di assegnazione, fintanto che tale diritto non dovesse essere revocato. Le conseguenze sulla cedibilità dell'immobile sono facilmente intuibili: se la casa venisse venduta adesso, l'assegnazione sarebbe opponibile al compratore e madre e figlio avrebbero il diritto di continuare ad abitarvi. Tuttavia, occorre rilevare che l'"ex" coniuge può sempre chiedere la revoca del provvedimento di assegnazione, con probabilità di successo che, con specifico riferimento al caso in esame, variano a seconda dei presupposti su cui si ritenga debba fondarsi il diritto di assegnazione; problema la cui soluzione costituisce una questione attualmente aperta. Vi è, infatti, un indirizzo restrittivo, prevalente in dottrina e in giurisprudenza, secondo il quale l'assegnazione può essere effettuata dal giudice solo nel caso in cui vi siano figli minorenni o figli maggiorenni economicamente non autosufficienti (naturalmente a favore del genitore al quale i figli sono affidati, o con il quale convivono). Vi è, poi, un indirizzo più possibilista, accolto da alcune recenti sentenze della Corte di cassazione - ma limitato ai casi in cui la casa coniugale sia di proprietà comune dei coniugi oppure di proprietà di uno solo di essi - secondo il quale il giudice può effettuare l'assegnazione anche nel caso in cui non ricorrano le circostanze relative ai figli appena descritte, e ciò allo scopo di realizzare un adempimento in natura, in tutto o in parte, dell'obbligo di mantenimento da parte di un coniuge nei confronti dell'altro. Se si sceglie l'indirizzo più restrittivo, nel caso in esame il figlio è ancora minorenne. Occorrerà quindi attendere che questi diventi maggiorenne e accertare poi che sia autosufficiente economicamente. Se ne ricorreranno i presupposti, non vi sarà più spazio per mantenere l'assegnazione della casa coniugale alla madre: il padre potrà quindi chiedere la revoca dell'assegnazione e, successivamente, la vendita della casa, libera a quel punto da vincoli. Se, invece, si sceglie il secondo indirizzo, occorrerà verificare se, in questo specifico caso, le condizioni economiche della madre giustificano un aiuto economico da parte dell'"ex" marito. In caso negativo, infatti, non vi sarà egualmente spazio per l'assegnazione, che quindi potrà essere revocata. In conclusione, il signor A.F. può senz'altro vendere la sua quota di comproprietà della ex casa coniugale benché gravata dal diritto di abitazione della moglie e del figlio. Diritto che potrebbe sussistere fino addirittura al compimento dei trenta anni di età del figlio qualora questi non risultasse autosufficiente. Differentemente, converrà attendere la maggiore età del figlio e valutare la possibilità di richiedere la revoca del provvedimento di assegnazione per procedere poi allo scioglimento della comunione.