Ti riporto una massima un po' datata che però mi pare molto chiara (Cass. pen., 27/10/1983):
Ai fini della configurabilità del reato di estorsione, anche la minaccia dell'esercizio di un diritto, in sé non ingiusta, può diventare tale, se l'esercizio del diritto è finalizzato a conseguire un profitto non dovuto; tuttavia, la semplice strumentalizzazione dell'esercizio di un diritto, ove si esprima in termini contrattuali, in un rapporto paritario di libere determinazioni, pur diretta, per ipotesi, alla realizzazione di un notevole profitto, non rende questo ingiusto in senso tecnico, in quanto esso è rappresentativo di una prestazione nell'incontro sinallagmatico delle volontà (nella fattispecie, in sede di transazione di controversie pendenti tra locatore e locatario, quest'ultimo, aveva richiesto la somma di lire settecentomila in corrispettivo di spese effettuate e dell'immediato rilascio dell'immobile; la suprema corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per tentata estorsione).
Quindi nel tuo caso la differenza la fanno la fondatezza o meno delle pretese della tua ex cognata. Insomma se in astratto lei potesse davvero promuovere una causa per ottener il rimborso di somme che dice di aver utilizzato per l'acquisto della casa, la richiesta potrebbe considerarsi una semplice (anche se irrituale nei modi) proposta transattiva. Diversamente potreste anche rispondere picche e riferire tutto alla procura.